[vc_row][vc_column width=”2/3″][vc_column_text]L’Università degli Studi di Napoli Parthenope si è caratterizzata fin dalla sua nascita quale centro di cultura, studi e ricerca sul tema del mare in tutti i suoi aspetti tecnico-economici. Nel corso degli anni, pur mantenendo tale specificità, l’Ateneo ha sviluppato ulteriori poli di alta formazione e di ricerca negli ambiti economico-giuridici, ingegneristici, tecnologici e dello studio delle scienze motorie e del benessere. L’Ateneo si contraddistingue nello sviluppo della conoscenza attraverso una ricerca innovativa, internazionale e multidisciplinare, aperta al confronto con le esperienze applicative e con il mondo del lavoro e delle imprese. Nel rapporto con la Cina, oltre a numerosi progetti, l’Ateneo ha promosso la fondazione del Matteo Ricci Network, un network di connessione tra università italiane e cinesi, ponendo così le basi per una sempre più proficua cooperazione internazionale con la Cina in ambito accademico.
L’intervista è di Sergio Ulgiati, Professore Associato di Chimica Ambientale e Analisi del Ciclo di Vita presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie, fondatore del Network Matteo Ricci e coordinatore del progetto sino-italiano sull’economia circolare in contesto urbano, finanziato dal MAECI e dal MoST.[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”9168″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]
Professore, Lei è uno degli iniziatori del progetto “Analisi del metabolismo di conglomerati urbani e della strategia cooperativa dell’economia circolare”; quali sono le principali motivazioni alla base del progetto e quali sono i risultati attesi?
Il progetto sull’economia circolare urbana si radica in una collaborazione di lunga data tra l’Università Parthenope di Napoli e l’Università Normale di Pechino su sistemi di sviluppo urbano e uso appropriato delle risorse materiali ed energetiche. Puntiamo ad approfondire e comunicare i costi e i benefici di nuovi modelli di produzione e consumo rispettosi dei limiti ambientali e capaci di rispondere in un modo radicalmente diverso alle esigenze della società: una economia circolare vista come imitazione della natura e rispetto dei suoi ritmi, lontano dal consumismo e dallo spreco, una crescita qualitativa anziché quantitativa.
In qualità di esperto ambientale, come vede l’applicazione dei risultati nel contesto attuale del nuovo green deal, ancora più evidente dopo la pandemia covid-19 che rimette il nostro sistema economico in questione?
Non possiamo più permetterci una banale riverniciata di verde, nell’illusione della crescita illimitata in un pianeta che, invece, ha una quantità limitata di risorse (energia, materiali, acqua e aria pulita, terra fertile). La nuova pandemia ha mostrato chiaramente che “il re è nudo”, ossia che il nostro modello di sviluppo indebolisce noi e le difese che la Natura è in grado di mettere in atto. Resi fragili dall’inquinamento e dal cattivo uso delle risorse, siamo vittime di ogni genere di disastri sanitari, climatici, sociali. La nostra ricerca mira a capire come sia possibile realizzare modelli di benessere nel rispetto della natura, di noi stessi e delle altre specie.
Lei vanta una lunga esperienza come High End Foreign Expert presso l’Università Normale di Pechino. Quali sono le principali differenze tra il sistema accademico cinese e il nostro?
Ovviamente, ci sono pregi e difetti in entrambi i sistemi. La Cina ha messo in atto un grande sforzo educativo e culturale finalizzato a far uscire il paese dalla povertà che ancora affligge notevoli fasce della sua popolazione. Ha investito enormi capitali nello sviluppo dell’istruzione universitaria, costruendo in tempi brevi nuove università e centri di ricerca. Mi sono trovato a far lezione in aule dove ancora si stavano verniciando porte e pareti. Di questo sforzo e dei potenziali benefici gli studenti sono consapevoli, il che rafforza la loro motivazione e il loro impegno. Anche a causa di questa veloce crescita, il corpo docente e ricercatore è mediamente molto giovane, il che porta ovviamente i vantaggi dello sguardo al futuro e qualche svantaggio dovuto all’inesperienza. In Cina si diventa professore associato intorno ai 35 anni con immediata responsabilità di progetti, finanziamenti, didattica e attività. In Italia la fase della crescita si è esaurita da tempo per ovvie ragioni demografiche e di sviluppo e siamo in una fase di mantenimento dell’esistente, con investimenti molto minori, possibilità di inserimento di nuovi giovani praticamente prossime allo zero, con quasi impossibilità di mobilità tra un Ateneo e l’altro. E così molti nostri giovani emigrano, attratti da opportunità all’estero. Chi resta, sta in panchina per anni in attesa che il suo “capo” vada in pensione.
La cooperazione internazionale e l’internazionalizzazione sono oggi aspetti fondamentali per le università nella qualità della loro offerta, da qui l’idea di creare il Matteo Ricci Network, un network di connessione tra università italiane e cinesi. Quali sono i capisaldi del Network e le principali aspettative?
Il Network, ispirato alla nobile figura dello scienziato Matteo Ricci (Macerata 1552-Pechino 1610; gesuita, teologo, geografo, matematico, 100% italiano, 100% cinese) mira a sviluppare collaborazione e sentimenti di amicizia tra ricercatori, docenti e studenti dei due Paesi. L’obiettivo è condividere progetti e risultati scientifici, fondi di ricerca, opportunità di scambio, organizzazione di eventi, in un’ottica profondamente interdisciplinare. Il Network si configura come un accordo tra Atenei (al momento 25), con la possibilità di coinvolgimento di Dipartimenti di tutte le discipline. Non ci aspettiamo solo che i giovani ricercatori pubblichino insieme un articolo in più, ma che diventino amici, comprendano a fondo le reciproche culture di provenienza e mettano in atto ogni forma di condivisione. Esiste una secolare tradizione di contatti tra Italia e Cina, di cui Matteo Ricci – molto considerato in Cina – è forse la figura più rappresentativa. Entrambi i Paesi sono ricchi di antiche tradizioni artistiche e culturali. Sono più numerose le somiglianze che uniscono anziché le differenze che separano.
Com’è proseguita la cooperazione con la Cina in questo periodo di emergenza sanitaria?
Nell’incertezza, abbiamo dovuto ovviamente cancellare alcuni impegni per attività da svolgere di persona (ad esempio, un mio corso presso la Beijing Normal University da tenersi a luglio) e rivolto a studenti interessati di tutto il Network Matteo Ricci. Tuttavia, abbiamo continuato a lavorare insieme su vari aspetti. In molti casi le collaborazioni in corso coinvolgevano studenti o giovani ricercatori, per i quali era di fondamentale importanza proseguire l’attività e ottenere risultati. Per esempio, alcune dottorande da tre diverse università Cinesi si trovavano già a Napoli al momento dell’inizio della pandemia e hanno deciso di restare in Italia per proseguire il piano di lavoro, seppure in modalità online. Ciò ha consentito la pubblicazione di due nuovi articoli scientifici e l’invio di altri due. In altri casi, la collaborazione era di tipo triangolare (Cina-Italia-Cameroon e Cina-Italia-Belgio) e anche questa è proseguita online, dopo il ritorno nei loro paesi dei ricercatori coinvolti, con l’invio dei risultati ottenuti a Journal scientifici internazionali. Insieme alle Università Ca’ Foscari di Venezia e Normale di Pechino abbiamo rinnovato per il terzo anno il Progetto Bilaterale di Alta Rilevanza Italia-Cina, supportato dal nostro Ministero degli Esteri e dalla National Natural Science Foundation of China, così che l’attuale ricerca sull’economia circolare urbana possa proseguire, pur senza poterci incontrare di persona. La nostra speranza è di riprendere al più presto una piena collaborazione anche basata sul reciproco scambio di visite scientifiche. Vorrei mettere in luce il fatto che a volte le relazioni internazionali tra paesi e macro aree (Asia, Europa, Americhe) affrontano difficoltà contingenti connesse ad aspetti politici, economici e commerciali (e recentemente anche all’emergenza sanitaria) che causano un temporaneo inasprirsi dei rapporti. Non è così per la scienza, che non ha e non deve avere confini, ma si offre come strumento di collegamento, collaborazione e amicizia in vista del superamento dei problemi. Per noi è sempre stato molto incoraggiante vedere giovani dei due paesi (e di altre provenienze) impegnati insieme in una ricerca scientifica e poi in un’allegra serata in pizzeria. Ci auguriamo che sia così anche questa volta.
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