L’Università di Macerata – fondata nel 1290 – è una piccola grande istituzione culturale, sempre più consapevole del ruolo che svolge nella costruzione del futuro delle giovani generazioni e nel rapporto con la Città e il Territorio. Con oltre dodicimila studenti, comprende tutti indirizzi focalizzati nel campo delle scienze umane e delle scienze sociali. Con 3 corsi di laurea magistrale impartiti in lingua inglese, otto Corsi di laurea a titolo doppio o multiplo, un Corso di dottorato in inglese (a titolo doppio), l’Istituto Confucio, un Centro linguistico, si tratta di un vero e proprio Campus internazionale dentro la Città. È un Ateneo a servizio del Territorio e delle Comunità, che contribuisce alla loro promozione/sviluppo con le attività di ricerca e il trasferimento di conoscenze e competenze.
L’intervista è stata rilasciata da Francesca Spigarelli, Delegata alla Ricerca e alla Terza Missione e Direttore del China Center dell’Università di Macerata
Il China Center è un polo per la ricerca e la formazione, a carattere multidisciplinare, che nasce con il fine di valorizzare le competenze maturate nel corso degli anni dai ricercatori dell’Università di Macerata con la Cina. Quali sono i progetti attualmente attivi tra l’Università di Macerata e la Cina?
L’attività di ricerca del Centro si è concentrata sui filoni delle relazioni Europa-Cina in ambiti prioritari: salute, ambiente, sostenibilità e nuove tecnologie a supporto dello sviluppo. Sono stati negli anni sviluppati progetti europei e nazionali focalizzati sulla cooperazione Europa-Cina con il coinvolgimento di università cinesi (la Beijing Normal University in particolare). Attualmente sono in corso due progetti nell’ambito del programma Horizon 2020: HEART (MCSA- ITN) “HEalth related Activity Recognition system based on IoT, an interdisciplinary training program for young researchers” sul tema dei sensori ed internet of things applicati alla salute (con partner l’Università cattolica di Lovanio e Philips, e con la partecipazione di Fudan University e University of Chinese Academy of Social Science), e il progetto, “TRANS-URBAN-EU- CHINA Transition towards urban sustainability through socially integrative cities in the EU and in China” (Horizon 2020 – Research and Innovation Action) con moltissimi e prestigiosi partner europei e cinesi. Riguardo all’attività didattica, il China Center è partner del Master in Global Management for China organizzato in consorzio tra l’Università di Macerata e quattro delle principali università italiane dedite alla ricerca e alla didattica sulla Cina (Università Ca’ Foscari Venezia, Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, Università degli Studi Roma Tre, Università degli studi di Macerata). È inoltre attiva la Summer School “Western Culture and Civilization” in collaborazione tra dipartimento di Giurisprudenza e di Studi Umanistici, che si svolge ogni anno a metà luglio e che vede la partecipazione degli studenti provenienti dai dipartimenti di Filosofia e Scienze della Formazione della Beijing Normal University.
Da anni UNIMC, facendo leva sulla tradizione di Matteo Ricci, conduce studi e realizza eventi culturali su tematiche che hanno come focus la Cina. Quanto la figura di Matteo Ricci, originario proprio di Macerata, ha influito sulla progettazione di tali attività?
La figura di Matteo Ricci ed il suo messaggio di confronto, amicizia, costruzione di ponti con la Cina hanno ispirato moltissimo le iniziative e le attività che il China Center e UniMC hanno realizzato nel corso degli anni. Sia attraverso progetti europei e nazionali, sia mediante iniziative convegnistiche e di studio, il messaggio di Matteo Ricci è stato valorizzato nell’ottica dell’utilità ed imprescindibilità di una comprensione delle radici della filosofia, della cultura, del pensiero europeo e cinese. Prerequisito per lo sviluppo di collaborazioni scientifiche, culturali e di business solide è la conoscenza dei comuni valori fondanti le due civiltà. Peraltro, la ricchezza della storia e delle tradizioni Cinesi ed Europee (ma ancora più italiane) costituisce tutt’oggi una base di dialogo e di cooperazione ricchissima. Ripercorrendo le orme e utilizzando l’approccio di Matteo Ricci si sono costruiti nel tempo percorsi di collaborazione scientifica molto innovativi, che spaziano dal campo ambientale a quello sanitario, a quello della tecnologia.
Un’attenzione particolare, inoltre, è stata riservata alle imprese per supportarle nell’elaborazione di strategie di internazionalizzazione e di espansione globale.
Come vede la ripresa economica in seguito all’emergenza covid-19 dei prossimi mesi?
Nel 2020 la Cina è stata l’unica nazione a registrare una crescita economica positiva, del +2,3%. Nel primo trimestre del 2021 i dati ci dicono +18,3%. Le fasi di contrasto e ripresa dalla pandemia hanno evidenziato uno scostamento sostanziale nella gestione del rischio della diffusione del virus tra Cina e Occidente. I segnali di crescita dell’economia cinese mostrati nella seconda metà del 2020, palesano un ‘impatto 0’ della seconda ondata pandemica. Il Piano Quinquennale 2021-2025 e la Vision 2035 hanno delineato la dicotomia di due nuovi paradigmi che ridonda nella propaganda lanciata da Xi Jinping: “autosufficienza del mercato interno” e “autonomia tecnologica”. “Autosufficienza” identifica il nuovo modello economico pensato dai tecnocrati del PCC per disegnare il futuro. Si fa riferimento alla “Doppia Circolazione” (双循环). Xi Jinping ha lanciato la formula dopo aver preso atto delle inquietudini internazionali dovute alla crisi epidemiologica, ma soprattutto alla guerra commerciale con gli Stati Uniti. Da una parte la circolazione interna, cioè il ciclo di produzione, distribuzione e consumo dentro il territorio nazionale alimentato dall’enorme bacino di 1,4 miliardi di abitanti; dall’altra la circolazione esterna con l’export che ha fatto grande fino ad ora la Cina, come strumento di completamento e sostegno. “Autonomia”, racchiude il tentativo di sviluppare autonomamente una tecnologia nazionale rendendola indipendente da quella occidentale. La preoccupazione è che questa dicotomia costituisca una chiusura cinese con un export che conterà di meno e un import che verrà ridimensionato. In realtà, per rendere più appetibile il ‘Made in China’ ai consumatori cinesi bisogna migliorarne la qualità. Infatti, per il modello di business attuale dell’Italia che è basato sull’export, la minaccia percepita rappresenta invece un buon momento sia per le imprese già stabilite in Cina che per quelle che vogliono valutare la penetrazione del mercato cinese, soprattutto nei settori della meccanica della componentistica, del lusso e dei beni di consumo di alta gamma. Lo sviluppo del mercato interno cinese è un’opportunità da cogliere che impone di riposizionare la presenza italiana, rafforzando gli investimenti. Da un lato, l’auspicio è quello che le imprese continuino ad investire in Cina lavorando e producendo per il mercato cinese, così da sfruttare l’enfasi alla collaborazione internazionale che la doppia circolazione implica, come richiamato anche dal Presidente Xi Jinping durante la China International Import Expo. D’altro canto, occorre che sempre più le imprese si focalizzino sull’utilizzo adeguato di strumenti di marketing digitali. La pandemia ha accelerato l’adozione delle tecnologie che caratterizzano la Cina come frontrunner su scala globale. Solo investendo, affinando e contestualizzando il marketing verso la Cina, si può creare un contesto di mercato favorevole alla penetrazione del mercato cinese stesso. Ci sono ampi margini per una situazione win win soprattutto per un paese esportatore di alto livello tecnologico e qualitativo come l’Italia.
Quali sono a suo parere, in questo periodo post-pandemico, le principali sfide e vantaggi della cooperazione accademica con la Cina?
In molti paesi, l’apertura nei confronti della collaborazione sul fronte della ricerca scientifica e degli studi accademici con la Cina è stata progressivamente messa in discussione, sia a causa della Pandemia, sia in considerazione della spinta verso il rafforzamento dell’alleanza Nato. Dopo l’“epoca d’oro” dell’engagement, è questo un momento di riequilibrio, che tuttavia presenta il rischio che qualsiasi impegno con la Cina diventi, ad un tratto, controverso. Nel trovare un nuovo assetto nelle relazioni della cooperazione accademica internazionale post-pandemia, ovviamente non si può prescindere dal considerare che la ricerca internazionale, nella risoluzione delle sfide comuni a tutta l’umanità, difficilmente potrà escludere la Cina. È tuttavia verosimile che il dibattito sui rischi e vantaggi della cooperazione con la Cina prosegua. La Cina ha da sempre rappresentato un paese di difficile approccio e richiede una grande capacità di comprensione, oltre che conoscenza profonda della cultura e capacità di “elaborare” le contraddizioni che si schiudono al ricercatore straniero. Da un lato, gli istituti di ricerca cinesi stanno attivamente perseguendo l’eccellenza scientifica e ampliando i loro legami internazionali. Dall’altro, si assiste in Cina ad una crescente centralizzazione delle decisioni ed al rafforzamento di alcune posizioni ideologiche. Indipendentemente dall’esito di questo paradosso, la Cina continuerà ad essere un importante polo di produzione di conoscenza. Sul fronte Europeo, gli esempi di collaborazione sino-europea nella ricerca dimostrano che la strategia futura dei decisori europei in ambito scientifico e della comunità accademica potrebbe essere non di interrompere la collaborazione, ma piuttosto di crearne una che sia bilanciata, mirata ed efficiente. Nonostante le complessità della Cina e l’incertezza degli equilibri mondiali dovuta ai recenti sviluppi nelle relazioni internazionali, alcune istituzioni accademiche europee sono riuscite a trovare soluzioni innovative nella loro attività di cooperazione. I casi di successo, tuttavia, non hanno costituito una base per una strategia europea comune. La mancanza di dati, di esempi e di una sufficiente condivisione di informazioni tra gli europei è critica. In questo senso, è fondamentale promuovere la condivisione di informazioni e dati sui casi concreti di cooperazione sulla cui base costruire un approccio più coordinato. È altrettanto importante far sentire la voce collettiva di chi lavora in – o con la – Cina. Si fa riferimento a persone con ruoli accademici e non-accademici, membri della diplomazia scientifica in Cina e in Europa che dispongono di considerevole esperienza e comprensione interculturale. Le loro competenze possono rendere il processo decisionale dei policy makers europei e nazionali più informato e basato su dati. Nondimeno, studenti e ricercatori europei devono essere in grado di costruire la loro esperienza in prima persona in Cina e viceversa.