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L’Università degli Studi di Firenze, illustre per origini e storia, un ateneo giovane con radici antiche. Oggi è una delle più grandi organizzazioni per la ricerca e la formazione superiore in Italia, con 1.800 docenti e ricercatori strutturati, e un numero altrettanto importante di tecnici e amministrativi, e dottorandi e assegnisti. I rapporti di collaborazione con università estere e il processo di internazionalizzazione, sono entrambi un aspetto strategico e dominante della vita dell’ateneo nella ricerca, nella didattica, nell’organizzazione degli studi, nella mobilità di docenti, ricercatori e studenti.
L’intervista è di Giorgia Giovannetti, Prorettore alle Relazioni Internazionali e Professore di Economia Politica
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L’Università di Firenze ha diversi programmi di scambio con università cinesi. Ne può citare uno a livello esemplificativo?
In effetti UNIFI ha accordi di cooperazione scientifica con oltre 40 università cinesi, da molto tempo. Sicuramente un rapporto privilegiato lo abbiamo con la Tongji University di Shanghai: si tratta di un accordo all’interno del quale abbiamo due doppi titoli a livello di laurea magistrale, uno in relazioni internazionali e uno in architettura e uno in fieri per la letteratura cinese. Ma, in realtà, i nostri studenti vanno a studiare alla Tongji anche molte altre cose e gli studenti della Tongji vengono volentieri a studiare a Firenze. La Tongji ha istituito un Confucio Institute a Firenze e questo rende gli scambi ancora più intensi. Unifi, inoltre, è nel board del Sices (Sino Italian Centre for Sustainability) e ha partecipato attivamente alle prime iniziative che sono state fatte con la presentazione di importanti progetti architettonici (sia per la riqualificazione dell’edificio italiano della Expo di Shanghai, sia per il progetto Shanghai 2030 di rendere la città più sostenibile e verde), nonché con l’organizzazione di corsi dedicati a Firenze per docenti e manager cinesi di aziende di public utilities.
Come avete superato le difficoltà di mobilità e cooperazione con le università cinesi in questo periodo?
La cooperazione scientifica non si è mai fermata. I ricercatori cinesi con i quali collaboriamo hanno continuato a lavorare da casa anche nei momenti più difficili, così come abbiamo fatto noi. Purtroppo, abbiamo dovuto bloccare la mobilità fisica dei nostri studenti e quella di tanti ricercatori (di cui circa 20 tra studenti e docenti che dovevano venire dalla China University of Geosciences di Wuhan i primi di marzo) che avevano programmato di fare ricerca nei nostri laboratori di scienza della terra e partecipare alle lezioni in aula del corso di laurea magistrale in Geo engineering. Abbiamo dovuto tenere a Firenze gli studenti dei doppi titoli che avevano in programma un anno in Cina ed erano tornati per le vacanze di Natale, abbiamo aiutato a rientrare i nostri studenti in mobilità extra UE. Però abbiamo continuato gli scambi in modo virtuale per quanto possibile. A gennaio, quando in Cina si sono manifestati i primi casi noti abbiamo scritto ai nostri colleghi cinesi delle 42 università partners offrendo la nostra solidarietà. Eravamo preoccupati per loro; abbiamo offerto aiuto e amicizia e tutti ci hanno risposto che stavano facendo del loro meglio per proteggere le comunità universitarie e che non vedevano l’ora di riprendere gli scambi. Le stesse attestazioni di solidarietà che avevamo inviato ai partner cinesi poco dopo hanno cambiato direzione e ci sono arrivate non solo lettere, ma anche aiuti concreti in termini di mascherine e altri dispositivi di protezione individuale in un momento critico per l’Italia. Le mascherine donate dal Sino-Italian Centre della Tongji sono arrivate all’ospedale di Careggi in un momento in cui scarseggiavano e hanno aiutato davvero. Di fatto, la cooperazione è aumentata. La mobilità speriamo possa riprendere presto.
Come cambierà la cooperazione accademica e scientifica dopo il Covid-19?
Probabilmente cambieranno alcuni dei temi di studio; il Covid-19 ci ha reso ancora più consapevoli dell’importanza della conoscenza e della ricerca. Quello di cui siamo sicuri è che la ricerca di questi tempi deve essere transnazionale. Deve basarsi su forme di collaborazione sempre più strette tra i diversi Paesi, per valorizzare i vantaggi comparati di ogni paese e sfruttare le opportunità di cooperazione. Cambieranno anche i modi di fare cooperazione con meno viaggi e maggiori iniziative “a distanza”. Ad esempio, stiamo collaborando come UNIFI alle attività dell’Università degli Studi di Bergamo quali il China-Italy Lab on Advanced Manufacturing che con i colleghi dell’Università Tsinghua sta pensando di organizzare seminari on line tra giugno e luglio al posto della Summer School che avrebbe dovuto tenersi a Pechino.
Il 2020 celebra il 50° anniversario dei rapporti diplomatici tra Italia e Cina, quali sono secondo Lei gli elementi che possono aiutare la ripartenza dei rapporti economici tra i due paesi?
Più che di “ripartenza” parlerei di “dare continuità”, se pur nel rinnovamento, alle tante attività già sviluppate. La Cina è per l’Italia un partner molto importante per l’attività economica e culturale. E’ un paese che negli ultimi anni ha dato priorità all’investimento nelle università e nella ricerca e sviluppo e ha investito tempo e denaro. E’ un paese che ha una struttura produttiva e dei vantaggi comparati simili a quelli italiani, ma che ha un possente piano di investimenti infrastrutturali in paesi vicini (Belt and Road Initiative). Questi investimenti e il conseguente ripristino della Via della seta, potrebbero portare sui mercati paesi che ne erano esclusi per mancanza di accesso al mare, per infrastrutture carenti etc. e, in tal modo, aiutare anche l’occidente a uscire dalla crisi economica facendogli trovare nuovi partners commerciali. Credo che il miglior modo di celebrare il 50° anniversario dei rapporti diplomatici con la Cina sia stringere ancor di più i rapporti economici e culturali che abbiamo, ripristinando la fiducia nelle catene del valore che è stata duramente messa a prova dalla pandemia di Covid-19.
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